Sbucciare è anche andare sotto la superficie, per arrivare al succo. Richiede tempo, abilità, strumenti e attenzione. Per questo Gli Omini vorrebbero continuare ad ascoltare i bambini, accumulare ancora parole e storie, per arrivare a comporre un ritratto dell’infanzia d’oggi, fatto da centinaia di voci. Le due ricerche pilota sono servite a capire il valore del progetto e a scrivere un canovaccio, pronto a trasformarsi e accogliere nuovi personaggi, nuove visioni del mondo, nuovi mondi. La parte fissa dello spettacolo è tutta in mano a Bobby, enorme alieno a capo dei Bobbies, esseri simili a lui, ma molto più piccoli. Le fattezze di questo popolo sconosciuto sono esattamente quelle della scatola raccoglistorie già apparsa durante il laboratorio, solo che stavolta le scatole parlano. I Bobbies hanno appena terminato una missione sulla Terra, erano stati mandati lì da Bobby per capire qualcosa di più sugli esseri umani, ma gli unici che li hanno degnati di uno sguardo sono stati i più piccoli. Da questa premessa prende vita il gioco di Sbucci, dove due adulti porteranno la parola di centinaia di bambini per parlare di ferite, rabbia, adulti e fratelli, maschi e femmine, fantasia e paure, risse, amici e solitudine. Un gioco in cui i bambini si riconoscono e gli adulti si commuovono pensando alla saggezza e alla purezza persa. Un gioco fatto di emozioni, sorprese e contenuti spiazzanti, tutt’altro che infantili.